Il vento arriva all’improvviso, mentre raccoglie i panni. Nilde appallottola le lenzuola contro il petto e alza la testa: il temporale si è avvicinato in silenzio, la pancia piena di fulmini, ha inghiottito il tramonto. Le nuvole si allungano fin sopra la casa. Lei si getta le lenzuola sulla spalla, corre a raccogliere gli altri vestiti, la tovaglia che già schiocca e garrisce come una bandiera. Tutto d’un tratto risuona un tuono basso e lontano. Una corrente di aria fredda le passa sulla schiena. Nilde aggrotta la fronte, torna in cucina. La finestra è spalancata, la persiana si apre e chiude di schianto, il vento ingolfa la stanza, porta dentro l’odore di pioggia. Corre a bloccare la persiana. Resta sulla soglia per un tempo che le sembra infinito, lottando per aprire l’ombrello, prima di maledirsi e di gettarlo via. Corre fino a metà giardino. Un grosso chicco la picchia sulla spalla, le strappa un’esclamazione. Per quanto si sforzi, non riesce a capire dove sia andata Norma. Le piante sono diventate un muro impenetrabile. Sconfitta, Nilde si copre la testa con le braccia e corre in casa.

Magnificat, pagg. 14-15

Magnificat, di Sonia Aggio, Fazi editore 2022, pagg. 202

Il romanzo d’esordio di Sonia Aggio ci porta indietro nel tempo, negli anni Cinquanta, nel Polesine, una terra d’acqua, stretta tra fiumi e canali che sfociano, tra mille diramazioni, nel mare Adriatico. Una terra bassa, dall’orizzonte sconfinato, fertile nei campi che però sono spesso minacciati da tempeste poderose e da piene devastanti.

Attraverso le vite di due cugine entriamo in contatto con la parte più sanguigna, più ancestrale di una terra contadina in cui le vecchie leggende legate ai cicli della natura tengono in pugno le menti. Miti e leggende che uniscono sacro e profano, che coniugano il tragico che la forza della natura può scatenare con la ricchezza che sa offrire a chi la teme e la rispetta. Una natura che alla fine resta padrona, libera di forgiare i destini.

Protagoniste del romanzo sono due cugine, legate da un tragico destino comune: i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale hanno portato via le loro madri, due sorelle unite da un legame fortissimo. E forte è il legame tra Norma e Nilde, come fossero sorelle, unite nella solitudine di una casa che ormai accoglie solo loro. Nilde dai capelli così biondi da sembrare bianchi, timida e riservata, timorosa di tutto, ricamatrice apprezzata che si guadagna da vivere ricamando corredi di donne più fortunate. Norma dai capelli dorati e occhi blu, selvatica e indomabile, preda di un turbamento che la sovrasta, che la attira sul bordo di un precipizio a cui non può opporsi.

Il racconto si apre quando tutto ormai si è compiuto, quando Nilde sa che non potrà più incrociare lo sguardo di Norma, quando l’unico oggetto che le rimane è un quadretto, che ritrae la Madonna del Magnificat. Attraverso una serie di flash back, il racconto a due voci torna indietro all’inizio degli anni Cinquanta, all’epoca dei fatti. Tutto era iniziato un giorno fatidico in cui Norma, dopo una rovinosa caduta in bicicletta, era tornata a casa stranita e Nilde aveva percepito con chiarezza che sua cugina non era più la stessa persona, che le era accaduto qualcosa di grave. Bersagliata dalle domande di Nilde, Norma si chiude in un silenzio inquietante, sorda ad ogni supplica della cugina, decisa a tenerla a distanza. O a proteggerla. Ma da cosa?

Le apparizioni fugaci a casa di Norma si tramutano immediatamente in nuove fughe ogni volta che un temporale si profila all’orizzonte e il cielo si riempie di boati di pioggia, lasciando Nilde in preda all’angoscia, a domandarsi turbata che cosa sta accadendo a Norma, perché si comporta in modo così strano, al punto di mettere in pericolo la sua stessa vita.

In quei giorni d’estate il caldo afoso della pianura è rotto da temporali e piogge, che si trascinano verso l’autunno; le donne del paese, aggrappate alle credenze popolari, si schierano contro il parroco che vuole portare in processione la Madonna della Vigna: si dice che spostarla porti disgrazie… Nilde apprende tutto questo mentre ricama a casa di Gigliola, una signora che l’ha presa con sé per ricamare le vesti che serviranno per la processione. A casa della donna Nilde conosce il figlio, Domenico, e tra i due nasce un’attrazione che, nel prosieguo, scopriremo avere un ruolo chiave nella salvezza della ragazza.

Le piogge e i temporali si susseguono sempre più minacciosi, le acque del Po e dei canali continuano a gonfiarsi e premono contro gli argini. Nella tensione generata dalla minaccia che incombe su campi, animali e persone, il comportamento di Norma appare sempre più misterioso; la sua vita sembra sempre più compromessa da un destino tragico che sta per compiersi. Finché tutto precipita: il Po rompe gli argini e sommerge tutto, portando con sé devastazione e morte. L’inondazione del Polesine si compie, lugubre e spietata come la Signora del fiume delle antiche leggende. E Norma non potrà sfuggire al suo destino.

«Questa è la piena». L’acqua ha colmato ogni spazio, ha invaso le golene, ha coperto gli alberi, sembra ammucchiarsi, formare una cupola. Non romba e non schiuma più: è una massa terrosa, muta, larga come il mare. L’altra riva le appare lontanissima. Il camion rallenta ancora. Superano sacchi di sabbia ammucchiati, carriole abbandonate. Nonostante la pioggia che li scurisce, Nilde riconosce l’oro nei suoi capelli. Per un attimo crede di vedere le lacrime gonfiarle gli occhi. Può convincerla. La sta convincendo. «Vieni via», ripete con voce dolce, accorata, accarezzandole le braccia nude. Norma china la testa verso di lei, poi si immobilizza, resta dura come una pietra sotto le sue mani. Nilde guarda indietro. Domenico le è subito accanto, una massa castana e tiepida ai margini del suo campo visivo. Norma fissa un punto lontano, le palpebre fremono. «La porto via», Nilde sente una mano sulla spalla. Si scrolla. Norma si riscuote a fatica; li guarda con un’espressione strana, la sua bocca simile a una ferita rossastra. «È qui», dice. I suoi occhi bruciano come stelle blu.

Magnificat, pagg. 60-61

Un romanzo dalle tinte forti, in cui la tensione è una coperta che copre tutto, in cui si avvertono quasi fisicamente le scariche elettriche dei fulmini, in cui i venti impetuosi sferzano il volto, in cui la potenza della natura sembra incontenibile. Una storia che nasce tra i campi e che racconta un popolo che vive seguendo i ritmi della natura, sapendo che non sempre le si può opporre resistenza. Una storia di legami, di sentimenti forti decisi ad opporsi al destino.

Sonia Aggio crea la sua trama unendo fatti storici e personaggi di finzione, in un perfetto connubio che restituisce al lettore le sensazioni, le paure ed infine il dolore a seguito dei tragici eventi. Sulla base della realtà storica, emerge però il destino privato delle due giovani e di coloro che le hanno precedute, grazie a due flashback che chiariscono il retaggio del loro passato e i legami ancestrali con il fiume.

L’alluvione del Polesine del novembre 1951 fu un evento catastrofico che colpì gran parte del territorio della provincia di Rovigo e parte di quello della provincia di Venezia (Cavarzerano), causando circa cento vittime e più di 180.000 senzatetto, con molte conseguenze sociali ed economiche. Il Polesine, inoltre, come terra prevalentemente agricola, risentì in modo ancor più grave della inevitabile carestia prodotta dall’inaccessibilità delle terre allagate, e molte persone furono costrette ad emigrare altrove.

Qui potete leggere l’incipit.

Photo credits: La Repubblica

Nata a Rovigo nel 1995, Sonia Aggio è laureata in Storia e lavora come bibliotecaria. I suoi scritti sono stati segnalati più volte dalle giurie di premi importanti come il Premio Calvino e il Premio Campiello Giovani. Tra il 2018 e il 2020 ha collaborato con il lit-blog «Il Rifugio dell’Ircocervo» e, nel tempo, ha pubblicato diversi racconti su «Lahar Magazine», «L’Irrequieto», «Narrandom» e «Altri Animali». Magnificat è il suo primo romanzo.