Proprio qualche giorno fa si parlava sul blog di Benny, Unreliablehero, di quando entri in una libreria e un libro “ti chiama”: dallo scaffale su cui è riposto occhieggia verso ti te, cerca di farsi notare affinché tu, stregata, te lo porti a casa. Ecco, con il libro di cui vi parlo oggi è successo proprio così.
Hotel Paradiso, di Ramón Pernas, La Lepre edizioni, 2016, traduzione di Patricia Martelli Castaldi, immagine di copertina e retrocopertina di Carlotta Raimondi; romanzo vincitore nel 2014 del premio Azorín
Stavo girando tra gli scaffali con già in mano tre volumi, rigorosamente scelti preventivamente, dopo avere letto alcune recensioni, quando mi trovo davanti la bellissima copertina (complimenti all’artista che l’ha realizzata!!) di questo romanzo di cui non sapevo assolutamente niente. Conoscevo il nome dell’autore, che in Spagna è molto noto e ha vinto premi prestigiosi, ma confesso che di lui non avevo ancora letto nulla. Come se non bastasse la copertina ad intrigarmi, apro il volume e leggo la “Prefazione all’edizione italiana”, a firma dell’autore e qui mi arriva il colpo di grazia!
Il pomeriggio è troppo azzurro… cantava Celentano e l’estate era già una certezza mentre scrivevo uno dei capitoli di Hotel Paradiso, in Italia naturalmente, e riguardavo quel paio di pagine che avevo dedicato a Lucca, la mia città del cuore, icona di un paese amato.
Ora capite che, per me che sono nata a Lucca, che nonostante non ci abiti da tempo, la amo e la venero come se fosse una persona di famiglia, la curiosità non poteva non essere solleticata… Caro signor Pernas, se lei ama Lucca quanto me, tanto da definirla “la mia città del cuore”, beh io devo leggere il suo romanzo!
E prosegue…
E Lucca circondata dalle sue mura, levitica, piccoloborghese e desiderata, mi restituiva in un lampo ricordi di altri tempi e mi riportava alla memoria la gente del circo e gli artisti itineranti che montavano il tendone in uno spiazzo e ricoprivano la città con i cartelli, annunciando che uno spettacolo di Orfei o di Togni, di Martini o di Bellucci, era arrivato con i suoi carrozzoni a colori.
Un altro elemento che mi attrae fortemente è il circo, la sua atmosfera magica e rarefatta quando gli acrobati volteggiano sui trapezi, i volti incantati davanti ai giocolieri e ai funamboli… l’unico aspetto che non ho mai perdonato al circo sono gli animali, che fin da bambina guardavo con compassione, perché mi sembravano dei carcerati a vita… Però, mi sono detta, vediamo come il circo entra in questa storia.
Il circo è uno spettacolo arcaico, dal sapore antico, anche se per me è sempre nuovo, come una prima visione, in cui si racconta una vita che riflette i colori nelle paillettes dei costumi dei trapezisti, divinità alate che imparano a volare nel cielo da bambini, nella volta circolare dei tendoni che confinano con l’infinito.
Eccolo, nelle parole di una giovane circense, una delle protagoniste del romanzo.
Ma veniamo, dunque e finalmente, al romanzo, che, premetto, ha soddisfatto appieno le aspettative con cui mi sono accinta a leggerlo.
Ad aprirlo ci sono due notizie, che non sembrano connesse tra loro, riportate dalla stampa locale: la morte di una elefantessa, Zara, in modo improvviso ed apparentemente senza alcun sintomo che la lasciasse presagire, e il necrologio di un cittadino anziano, molto noto nella cittadina in cui si svolge la storia, un ingegnere conosciuto per i suoi arditi progetti e per avere fatto costruire in città una residenza per anziani, nella quale, ormai ottantaseienne, soggiornava. I due sono morti lo stesso giorno alla stessa ora.
I due fatti sono in realtà legatissimi tra loro e per scoprire perché, l’autore ci mette in contatto con le due voci che svelano il passato, ognuno con un percorso attraverso i ricordi: il vecchio don Javier (J.I., per tutto il racconto) e la nipote; i due tessono, filo dopo filo, la trama dei personaggi e dei fatti. A noi lettori si presenta una storia d’amore vissuta nel passato remoto (aveva solo quindici anni quando cominciò) da Javier con la bella S., trapezista del circo Tivoli, figlia del proprietario, dalla quale era nato un figlio. Don Javier era però già sposato e quell’amore poté vivere solo nei ritagli del suo tempo per un certo periodo, fin quando il legame si spezzò del tutto, lasciando solo dei ricordi nei suoi protagonisti. Ora, superati gli ottanta, Don Javier si accinge a scrivere la storia della sua vita, per raccontare la sua versione, mentre la nipote la ripercorre attraverso i ricordi di suo padre, il figlio di don Javier e di S., che con lei li ha condivisi fin da quando era una bambina, trasmettendole il suo amore per il genitore – cioè il nonno della ragazza – che si è ritagliato un ruolo importante nel suo cuore, nonostante la sua assenza.
Don Javier è ora “prigioniero” nella residenza che aveva fatto costruire per donarla alla città, luogo in cui non aveva previsto di finire lui stesso, per volontà dei due figli legittimi, con cui ha un rapporto conflittuale e amareggiato dalle rispettive assenze.
Non avevo mai pensato di diventarne l’inquilino fino a quando una mattina, due giorni dopo la festa dell’Epifania un paio d’anni fa, quei figli di puttana dei miei rampolli mi prelevarono con l’inganno e in una trattoria della capitale mi annunciarono il mio immediato ingresso – papà, ti farà molto piacere chiudere il cerchio, vivere nella residenza che hai sognato – e una dozzina di altre sciocchezze scarsamente convincenti, e tre ore dopo ero già residente all’ospizio.
Come potete vedere, nei capitoli dove è J.I. a parlare, lo stile è molto sanguigno, talora sarcastico, spesso ironico e strappa diverse (a volte amare, però) risate. Insomma, per un tipo come J.I. donnaiolo, viveur (non smette di ammorbare tutti con i suoi ricordi di Josephine Baker, la bella e scandalosa cantante francese che sostiene di avere conosciuto…) che ha girato per il mondo, ritrovarsi tra vecchi ormai “rimbambiti” con cui non riesce ad intavolare discorsi, sorvegliato dal personale e impedito nelle sue libertà, non è cosa da poco. E infatti cerca, nel suo modo personale, di opporsi a questa incresciosa situazione. Anche a costo di commettere qualche grave atto, che però lui ritiene “azioni caritatevoli”. La sera, con la sua vecchia Olivetti, e nonostante la poca collaborazione delle sua dite corrotte dall’artrite, riempie pagine destinate al giudice che prenderà in carico la sua dipartita: in realtà, quelle pagine sono una confessione destinata soprattutto ai suoi eredi.
Diverso il tono quando a raccontare è la ragazza: lieve, fresco e ingenuo, a tratti commovente per quanto affettuoso e caloroso, ma anche colorato come il tendone e i costumi del circo. Lei è giovane, sognatrice, innamorata del circo e delle persone che lo animano, attaccata ai genitori che ammira ed ama con tutta se stessa; nei capitoli affidati alla sua voce ripercorre la storia della sua famiglia a partire dalla nonna che si innamorò di J.I. e che da lui ebbe un figlio, suo padre, attuale proprietario del circo Tivoli, il signor Kolb. Il circo si dirige a Vilaponte, la cittadina di don Javier, dove suo padre spera proprio di incontrare lui, per potergli finalmente testimoniare il suo affetto, nonostante non abbiamo mai condiviso nulla.
Naturalmente, sulla trama, non posso dire di più, altrimenti vi rovinerei la lettura.
Dirò, invece, che la storia è piacevole e ben congegnata, sa incuriosire e regala molti inaspettati episodi; la narrazione si svolge su due registri, alternando le voci dell’anziano don Javier, e della giovane nipote, rendendo l’andamento mosso e vivace. Pernas è bravo e credibile a mantenere in equilibrio il racconto, puntando sulla pluralità di voci. Oltre a ciò, e forse come maggior pregio, il romanzo contiene molte riflessioni su questioni profonde.
Prima tra tutte la vecchiaia, o meglio, l’invecchiamento del corpo e soprattutto della mente, tutto quell’antipatico processo che rende deboli, smemorati, non più autosufficienti e dunque arrabbiati o sconsolati, combattivi o apatici, a seconda dei caratteri. Ecco un assaggio delle riflessioni di don Javier:
Fare il bilancio, dopo una vita vissuta a lungo, e rendersi conto che tutto il tuo patrimonio terreno consiste nel bagaglio dei ricordi che ti porti in testa, con i trenta passi che compongono il corridoio della memoria che ora abiti e la macchina del caffè che troneggia nel salottino contiguo a una camera da letto dove non c’è posto per i sogni, è un esercizio sterile che non conduce a nulla, e lo faccio anche se non so perché, forse per riempire di parole questi fogli, forse per non morire in questo stesso istante, e benché possa risultare contraddittorio, per combattere la stessa morte.
L’altro aspetto, che fa da contraltare, è invece lo sguardo alla vita ancora tutta da esplorare della nipote, il suo entusiasmo e le sue speranze che tutto possa andare per il meglio, che i suoi sogni possano avverarsi e la felicità essere colta come un frutto maturo. La vita come promessa di pienezza.
Ritorno un attimo sul punto iniziale e cioè al circo: Ramón Pernas è un grande conoscitore e amante di questo mondo, ne ha scritto e ce lo dice (se già non lo sapessimo dal suo curriculum…) in modo scherzoso (ma non troppo) per bocca della nipote, che lo cita nel racconto. E infatti i momenti in cui si parla del circo e dei suoi artisti sono davvero molto credibili e sinceri, rendono a meraviglia il fascino che aleggia intorno ad uno dei più antichi mestieri dello spettacolo; e ci fa capire che l’elefantessa Zara è davvero un membro della famiglia, amata, rispettata e coccolata, anche se (credo) sarebbe stata più felice nel suo ambiente naturale.
Un’ultima cosa: Lucca c’è davvero nel romanzo, in tutta la sua bellezza a cui Pernas riesce a dare splendore di perla rara.
Copio il link all’editore: http://www.lalepreedizioni.com/catalogo_visualizza.php?Id=104#
L’incipit potete leggerlo qui.
Le opere che ho inserito sono rispettivamente: le prime due di Laura Knight, l’ultima (che rappresenta piazza dell’anfiteatro, a Lucca) è di Michaela Kasparova.
se lo hai fatto parlare sto libro! poi le piccole città della Toscana mi fanno impazzire…e il circo poi…che gusto leggerti stasera…
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Troppo??? eh, che ti devo dire, mi è proprio piaciuto… ciao, Poeta
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no no m’hai affascinato…altro che troppo…
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meno male….
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:*
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Fantastica recensione, devo averlo subito! Spesso il mio istinto mi ha guidato verso libri che sembravano chiamarmi e non mi sono mai pentita della scelta fatta. Grazie per il consiglio Pina 😊
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Spero che mi accada di nuovo molto presto !!! ;))
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Interessante il confronto tra lo spirito del vecchio e le aspettative della giovane, il tutto sviluppato sui ricordi di un vissuto circense. Mi è piaciuta anche la tua premessa, quando parli del colpo di grazia dovuto alla prefazione… È come se a me capitasse di trovare nel libro di un autore straniero un omaggio alla città di Bolzano, dove sono nata… Lo acquisterei all’istante, copertina bella o meno! 😀 😉
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Qui si sono manifestati diversi elementi ad incuriosirmi… leggendo la prefazione ho capito che poteva piacermi davvero, al di là delle coincidenze. Come ho detto nella recensione, oltre alla storia, ci sono tante riflessioni sul senso della vita. Ciao Ale, buona giornata!
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Sì certo, è chiarissimo 😉
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Nulla accade per caso 😉 Un libro che ti chiama dallo scaffale e comincia con la tua Lucca…. non può esser coincidenza. Il libro poi credo lo leggerò anch’io, messo in lista per la mia prossima scappata italica.
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E’ davvero incredibile… ero in una grande libreria, con centinaia di libri, e l’occhio è andato proprio lì. Come primo impatto credo che la copertina abbia giocato un ruolo fondamentale, poi l’ho aperto ecc …
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Non mi stupisce affatto 😉
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Grazie per la citazione ;). Sono contenta che un libro ti “abbia chiamata” e ti abbia parlato di una città che ami. Bellissima recensione, appassionata e intrigante, con citazioni scelte che ti fanno subito venire voglia di correre in libreria a cercare questo romanzo. P.S. La copertina del libro è stupenda.
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grazie Benny…. siamo sulla stessa lunghezza d’onda.. ;)))
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Dev’essere una storia interessante 😉
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La storia in sé non prevede colpi di scena eclatanti o vite al limite. E’ una storia familiare, di chi ha commesso errori, di chi li ha perdonati e di chi no. Quello che mi ha molto colpito è lo stile narrativo e le riflessioni che, dalla storia, emergono.
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In fondo una storia scritta bene regge anche senza avvenimenti sensazionali; se così non fosse, credo che nessuno avrebbe mai letto molta letteratura del Novecento. 😉
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vedi l’esempio di “Stoner”, ecc ecc
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L’ho letto ed effettivamente non succedono grandi colpi di scena; direi che la più forte emozione in tutto il corso della lettura sia stata un gran giramento di scatole: quest’uomo era la versione americna, riveduta e corretta, di Fantozzi. Che rabbia vederlo esautorato da tutto…
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molti la pensano come te, e posso capirlo. Però devo dirti che a me è piaciuto, questo romanzo, soprattutto per la scrittura, che riesce a dare dignità ad una vita che ne ha avuta poca. Vabbè, stavolta non la pensiamo allo stesso modo….
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No, figurati, sul valore non discuto, al di là delle mie preferenze tematiche.
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