Anche mentre stavo lì a osservare la vastità avvertivo il suo potere magnetico, la sua profondità, come fosse un amante pazzo che promette eterna passione e mai amore. Eppure il deserto era sempre lì, mi chiamava, e a volte avevo l’impressione che fosse proprio la sua costanza ad attirarmi, e quel semplice bisogno di scoprire ciò che un luogo e un paesaggio indifferente non mi avrebbero mai rivelato. E la 117 attraversava da parte a parte il suo cuore esangue. Percorrerla era il mio lavoro. In alcuni rari momenti di indulgenza mi dicevo che quello che facevo poteva essere importante. Lo facevo da così tanto tempo, non sapevo fare altro. E forse non volevo. pag 27

Lullaby Road, di James Anderson, NN Editore 2019, traduzione di Chiara Baffa. Secondo volume de La serie del deserto.

Dopo avere voltato l’ultima pagina de “Il diner nel deserto” avevo provato due fortissime sensazioni: la prima, una grande malinconia per non potere più viaggiare accanto a Ben Jones, lungo la 117; la seconda, un desiderio irrefrenabile di iniziare immediatamente “Lullaby Road”, per riprendere subito la statale che attraversa il deserto e accompagnare Ben nei suoi viaggi.

Se avete letto il primo volume di questa serie, sapete già quanto Ben ami percorrere quella strada e, soprattutto, quanto sia affascinato dal deserto. Ecco, una cosa così:

Il deserto era un’incognita familiare e io ero adeguatamente rispettoso, molto determinato e dannatamente felice di rivedere la stessa cosa che vedevo da vent’anni, e di vederla nuova ogni giorno, sempre uguale ma sempre diversa. pag. 46

Deserto Utah neve
Author: National Park service photo

Saprete anche che i viaggi di Ben su e giù per la 117 sono molto avventurosi. Lo sono perché la strada nasconde pericoli, e percorrerla con un bestione come è il suo tir non è sempre facile: il vento forte, le condizioni atmosferiche che cambiano in modo repentino, sono insidie anche per un guidatore esperto come lui. Ma lo sono soprattutto perché il deserto è il posto in cui chi ci vive può avere qualcosa da nascondere; a volte questo riguarda solo se stessi, altre, invece, i segreti possono rischiare di inghiottire altri. Oppure sono solo persone che non gradiscono di rimanere impigliati nella rete delle relazioni sociali, degli obblighi, della standardizzazione. Come dice saggiamente Ben, le persone non sono mai solo buone o solo cattive. Quasi mai.

Lullaby Road” ci riporta a Price, Utah, la cittadina in cui vive Ben Jones, camionista in proprio; Ben – mezzo indiano e mezzo ebreo, abbandonato alla nascita e cresciuto da una famiglia mormone – ha un passato abbastanza turbolento, costellato da qualche rissa e sbronza di troppo, il che lo ha reso noto alle forze dell’ordine; da tempo, però, ha cambiato registro, si è messo a lavorare sulla statale 117 per consegnare merci alle persone che vivono in case sperdute, o nella cittadina di Rockmuse, la sua ultima tappa giornaliera, a centocinquanta chilometri di distanza. Percorre da vent’anni quel tratto, con ogni condizione atmosferica perché è su di lui che tutti contano, e non solo per le consegne. Ben non giudica le persone o il loro modo di vivere, semplicemente le accetta; inoltre, ha uno spirito molto altruista, che gli ha permesso di guadagnarsi la fiducia anche di chi non va oltre un cenno del capo per ringraziarlo, ma sa che su di lui può contare.

Lo sa bene Ginny, una diciassettenne appena diventata madre di una bambina, che da lui ha trovato un riparo quando persino sua madre – ex amante occasionale di Ben e persona più cattiva che buona – l’ha abbandonata al suo destino. E lo sanno il benzinaio Cecil e il gommista Pedro, che consapevoli del loro destino, gli affidano un bambino, sicuri che solo lui sarà in grado di proteggerlo.

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Comincia così il nuovo romanzo, con Ben che deve iniziare uno dei suoi viaggi nel freddo invernale del deserto, la strada trasformata in una pista di ghiaccio, e una tormenta di neve in arrivo, ritrovandosi in cabina la figlia neonata di Ginny, e un bambino sconosciuto, accompagnato e protetto da un cane. E subito, fin dalle prime pagine, la storia si presenta carica di mistero, coinvolgente e tesa come una corda di violino; e si rivelerà molto più che un noir, racchiudendo in sé aspetti drammatici, e, soprattutto, esprimendo attraverso i pensieri di Ben, molte considerazioni sul senso della vita, sui rapporti umani, e su quanto la natura umana possa dimostrarsi complessa e inattendibile. L’intreccio si presenta ricco di sotto-trame, andando a costruire un puzzle in cui ogni pezzo, alla fine, si incastrerà perfettamente.

A differenza del primo – si possono comunque leggere indipendentemente perché l’autore fornisce nel secondo indizi sul passato di Ben -, dove la trama era quella di una crime story, qui si passa al noir, e si fa un passo più avanti verso un baratro emotivo che tocca nel profondo la nostra umanità. Ben si troverà ad affrontare una prova durissima, qualcosa in cui mai avrebbe voluto imbattersi, una rivelazione che lascerà un segno incancellabile nel suo animo.

Mentre l’acqua mi scorreva addosso continuavo a ripetermi: Ma non questo. Per vent’anni avevo vissuto e guidato nel deserto e credevo di aver visto tutto – ma non questo – e ogni volta mi chiedevo come facessi a estraniarmi, allontanarmi e continuare con la mia vita dopo gli incidenti raccapriccianti, la folle idiozia e l’assurdità che causavano morte e sofferenza, non solo nel deserto, ma ovunque. Stavolta era diverso. pag. 298

A popolare il mondo di Ben ritroviamo molti dei personaggi del primo capitolo: Walt, lo scontroso padrone del Diner del Deserto, alle prese con altri fantasmi del suo passato; il predicatore John, che nonostante le proibitive condizioni atmosferiche continua a percorrere la 117 trascinandosi la pesante croce di legno e divenendo protagonista di uno degli episodi clou della storia; Ginny, naturalmente; gli amici di Rockmuse: Roy, Lenny, Phillys, il dottor Conway, il vecchio George; il poliziotto Andy Smith e la dottoressa Wanda Stafford.

Non a caso sono così tanti personaggi a interagire con Ben, questa volta alle prese con una serie di eventi drammatici, per sovrastare i quali il nostro camionista ha bisogno, oltre al suo intuito e alle sue capacità di osservazione, di avvalersi dell’aiuto dei suoi amici, di una comunità che, anche se sparpagliata negli angoli del deserto, è capace di stringersi intorno a lui e a chi ha bisogno di aiuto per superare le dure prove a cui la vita li ha messi di fronte.

Utah roulotte

Dunque, in questo capitolo della vita di Ben e delle storie che ci racconta, emerge una dimensione corale, collettiva, che si dimostra come l’unica via possibile per affrontare il male, traendo forza dalla somma degli sforzi, dal mutuo soccorso, dal contributo di ciascuno – per quanto isolato e “originale”. In un territorio desertico in cui i soccorsi faticano ad arrivare e la tecnologia non può essere d’aiuto – i campi magnetici mandano in tilt i dispositivi elettronici e le coperture di rete sono labili -, Anderson sembra dirci che solo l’uomo può aiutare l’uomo, in uno sforzo collettivo di redenzione e di umanità.

Se mai dovessi avventurarmi sulle strade che solcano il deserto dello Utah, spero con tutto il cuore di incontrare Ben Jones e il suo tir!

Qui potete leggere l’incipit.