calvino incipit“Sei proposte per il prossimo millennio”

Vorrei riprendere il volume che raccoglie le lezioni che Calvino intendeva tenere durante la sua visita negli Stati Uniti, poiché credo che, a distanza di più di trent’anni forniscano materiale di riflessione quanto mai attuale.

Italo Calvino fu invitato, nel 1984, dall’Università di Harvard a tenere un ciclo di lezioni, le “Charles Eliot Norton Poetry Lectures”, nell’anno accademico 1985-1986. Purtroppo quelle lezioni non si tennero perché il 19 settembre del 1985 lo scrittore morì.

L’Università di Harvard lasciava carta bianca per quanto riguardava il tema delle lezioni e Calvino decise di impostare il lavoro sui valori letterari da conservare e portare nel prossimo millennio, cioè in quello che attualmente viviamo.

Il volume su cui le ho lette (e rilette infinite volte) è di Garzanti, in prima edizione, e riproduce il dattiloscritto ritrovato da Esther Calvino, dato alle stampe così come era, le parole in inglese esattamente come lui le aveva scritte, e le citazioni in lingua. L’unico problema riguarda il titolo, in quanto Calvino non lo aveva definito, ma parlando di quel lavoro, vi si riferiva come alle lezioni americane; e così è stato pubblicato. Al momento di partire per gli Stati Uniti ne aveva scritte cinque, manca la sesta, coerenza – consistency, in inglese – di cui si sa soltanto che si sarebbe riferito a Melville.

Calvino propone sei parole chiave, ciascuna legata ad un valore letterario fondamentale da traghettare al nuovo millennio, e le elenca in ordine di importanza: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e coerenza.

Vi riporto per intero la nota introduttiva dell’autore:

“Siamo nel 1985: quindici anni appena ci separano dall’inizio d’un nuovo millennio. Per ora non mi pare che l’approssimarsi di questa data risvegli alcuna emozione particolare. Comunque non sono qui per parlare di futurologia, ma di letteratura. Il millennio che sta per chiudersi ha visto nascere ed espandersi le lingue moderne dell’Occidente e le letterature che di queste lingue hanno esplorato le possibilità espressive e cognitive e immaginative. È stato anche il millennio del libro, in quanto ha visto l’oggetto-libro prendere la forma che ci è familiare. Forse il segno che il millennio sta per chiudersi è la frequenza con cui ci si interroga sulla sorte della letteratura e del libro nell’era tecnologica cosiddetta postindustriale. Non mi sento d’avventurarmi in questo tipo di previsioni. La mia fiducia nel futuro della letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici. Vorrei dunque dedicare queste mie conferenze ad alcuni valori o qualità o specificità della letteratura che mi stanno particolarmente a cuore, cercando di situarle nella prospettiva del nuovo  millennio.”

Il primo valore a cui Calvino si riferisce e che caratterizza la sua opera è la leggerezza: una “sottrazione di peso” che lui stesso ha applicato alle figure umane, alle città ma soprattutto alla struttura del racconto e al linguaggio. La lezione è tesa a dimostrare perché “la leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione , non con la vaghezza e l’abbandono al caos”:  è un valore e non un difetto, e Calvino lo esalta rifacendosi alle opere del passato e proiettandolo nel futuro. Ci accompagna nel suo excursus, a partire da Perseo e la Medusa, passando per Ovidio e le “Metamorfosi”, a cui accosta i versi di Montale di “Piccolo testamento”, per Lucrezio, e per Milan Kundera col suo romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere”. Il discorso si allarga poi ai poeti Guinizzelli e Cavalcanti, a Dante, a Shakespeare, a Rabelais, a Cervantes… Alla poesia di Emily Dickinson. Tutto questo per mettere a fuoco il concetto che sono le scene “leggere” a fare la storia della letteratura: il pallone su cui viaggia il Barone di Munchausen, i mulini a vento di Don Chisciotte, la luna a cui si rivolge Leopardi, Cyrano che proclama la fraternità degli uomini con i cavoli: “Come la melanconia è la tristezza diventata leggerezza, così lo humor è il comico che ha perso la pesantezza corporea (..) e mette in dubbio l’io e il mondo e tutta la rete di relazioni che li costituiscono.”

Ma abbraccia anche l’evoluzione del pensiero scientifico e filosofico, la religione, la fisica quantistica e l’informatica.

“Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite.”

Per sostenere il valore della rapidità, parte dal raccontare una vecchia leggenda, che riguarda Carlomagno, sottolineando come attorno all’anello magico – l’oggetto – si crei un campo di forze: l’anello è un segno riconoscibile che rende esplicito il collegamento tra persone o tra avvenimenti: una funzione narrativa che deriva dalle saghe nordiche, passando attraverso i romanzi cavallereschi e i poemi italiani del Rinascimento.  Il segreto di questo genere di racconti sta nella economia del racconto, un movimento senza sosta che procede quasi a zig-zag.

“Con questo non voglio dire che la rapidità sia un valore in sé: il tempo narrativo può essere anche ritardante, o ciclico, o immobile. In ogni caso il racconto è un’operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo. (..) La leggenda di Carlomagno ha un’efficacia narrativa perché è una successione d’avvenimenti che si rispondono come rime in una poesia.”

Dunque il discorso si focalizza sui temi di agilità del ragionamento, l’economia degli argomenti, e la fantasia.

“Il mio lavoro di scrittore è stato teso fin dagli inizi a inseguire il fulmineo percorso dei circuiti mentali che catturano e collegano punti lontani dello spazio e del tempo. (..) Ho puntato sull’immagine, e sul movimento che dall’immagine scaturisce naturalmente”.

Calvino si sofferma a lungo sull’opera di Borges, maestro di precisione e concretezza, capace di straordinarie aperture all’infinito. E sul mito di Mercurio.

Scritte nel 1985, queste considerazioni ci appaiono ancora attuali:

“in un’epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano d’appiattire ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea, la funzione della letteratura è la comunicazione tra ciò che è diverso in quanto è diverso, non ottundendone bensì esaltandone la differenza, secondo la vocazione propria del linguaggio scritto.”

A proposito dell’esattezza, Calvino chiarisce che per lui consiste in tre cose: “un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato, l’evocazione di immagini visuali nitide, incisive, memorabili, (..) “icastico”, e un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione”.

“La precisione per gli antichi Egizi era simboleggiata da una piuma che serviva da peso sul piatto della bilancia dove si pesano le anime”

In questa lezione si parla molto di Leopardi, dello Zibaldone; così come di Musil, laddove “esattezza e indeterminatezza sono anche i poli tra cui oscillano le congetture filosofiche-ironiche di Ulrich, nello sterminato e non terminato romanzo di Robert Musil.”

Nella parte finale della lezione, lo scrittore si riferisce a Leonardo da Vinci, che si definiva “omo sanza lettere” eppure proprio della parola scritta, e precisa, aveva bisogno.

La quarta lezione ruota attorno alla visibilità, e si apre con Dante nel Purgatorio che dice: “Poi piovve dentro a l’alta fantasia”. Dunque, osserva Calvino, “la fantasia è un posto dove ci piove dentro”. Dante poeta deve immaginare ciò che Dante personaggio vede, o crede di vedere, o sogna, o ricorda, o che gli viene raccontato. Dante “sta cercando di definire la parte visuale della sua immaginazione verbale”.

Calvino distingue due tipi di processi immaginativi: “quello che parte dalla parola e arriva all’immagine visiva e quello che parte dall’immagine visiva e arriva all’espressione verbale. Il primo processo è quello che avviene normalmente nella lettura”, così come nel cinema dove “l’immagine che vediamo sullo schermo era passata anch’essa attraverso un testo scritto, poi era stata vista mentalmente dal regista, poi ricostruita nella sua fisicità sul set, per essere definitivamente fissata nei fotogrammi del film.” 

Tra gli autori che hanno parlato di immaginazione visiva, Calvino cita Ignacio de Loyola, e i suoi Esercizi spirituali, dove guida i fedeli in meditazioni visionarie. Dalla tradizione, alla letteratura contemporanea, fatta di originalità e novità, passando attraverso le riflessioni sul proprio processo creativo, per affermare il valore di questa componente:

“Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini. Penso a una possibile pedagogia dell’immaginazione che abitui a controllare la propria visione interiore senza soffocarla e senza d’altra parte lasciarla cadere in un confuso, labile fantasticare, ma permettendo che le immagini si cristallizzino in una forma ben definita, memorabile, autosufficiente, «icastica».”

La difesa del valore della molteplicità si apre con una lunga citazione dal Pasticciaccio di Carlo Emilio Gadda, per introdurre il concetto di “romanzo contemporaneo come enciclopedia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo.” Perché Gadda? Perché “la sua filosofia si presta molto bene al mio discorso, in quanto egli vede il mondo come un «sistema di sistemi», in cui ogni sistema singolo condiziona gli altri e ne è condizionato.”

Ritorna Musil e non manca il richiamo a George Perec e a quello che Calvino chiama il suo “iper-romanzo”: “La vita istruzioni per l’uso”.

Calvino individua alcune tipologie di testi come esempi di molteplicità:

“C’è il testo unitario che si svolge come il discorso d’una singola voce e che si rivela interpretabile su vari livelli. (..) C’è il testo plurimo, che sostituisce alla unicità d’un io pensante una molteplicità di soggetti, di voci, di sguardi sul mondo. (..) C’è l’opera che nell’ansia di contenere tutto il possibile non riesce a darsi una forma e a disegnarsi dei contorni e resta incompiuta per vocazione istituzionale. (..) C’è l’opera che corrisponde in letteratura a quello che in filosofia è il pensiero non sistematico, che procede per aforismi, per lampeggiamenti puntiformi e discontinui.”

“Tra i valori che vorrei fossero tramandati al prossimo millennio c’è soprattutto questo: d’una letteratura che abbia fatto proprio il gusto dell’ordine mentale e della esattezza, l’intelligenza della poesia e nello stesso tempo della scienza e della filosofia.”

Calvino conclude le lezioni con questa riflessione:

“Chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili.”

Chiudo questa analisi sempre più convinta dell’attualità del pensiero di Calvino: le sue lezioni, rilette oggi, sembrano scritte ieri, sono una miniera di riflessioni e di spunti da cui si può attingere a piene mani. Possiamo chiederci che fine hanno fatto questi valori nel nostro millennio? Che risposte possiamo darci?

Calvino foto lui