La pietra è grande più o meno come un manifesto di sagra paesana, ed è molto antica. Non si sa di preciso, ma l’autorità dei beni artistici attesta che è cosa pagana in tempo cristiano. L’uomo e la donna danzano; si tengono mano nella mano, sollevano le braccia e fanno un passo divaricando fieramente le gambe. Guardano davanti a sé, e gli occhi sono due tagli in una faccia tonda. Hanno ai piedi scarpe pesanti, i calzari di feltro dei padri dei nostri padri, e indossano rozze casacche. Nella mano libera l’uomo impugna una lancia, la donna un pugnale. Si sa che sono un uomo e una donna perché dalle casacche spuntano enormi sessi: un pene e una vagina. E non si sa altro. Dicono che sia una danza di guerra, dicono che sia una danza di caccia; ma non si sa di nessun’altra parte del mondo dove maschi e femmine abbiano mai guerreggiato e cacciato assieme; e poi ballato, stretti mano nella mano, armi in pugno. Mai, nemmeno nelle mitologie più scatenate. Certe cose, se mai sono successe, non è bene metterle nero su bianco, lasciarle a svergognarsi su una pietra per millenni. E qui invece è successo: è lì, appiccicato al campanile. (pag. 299)
Meccanica celeste, di Maurizio Maggiani, Feltrinelli 2010, pagg. 314
“Meccanica celeste” racconta una parte del mio mondo, quello legato alle radici, all’infanzia e alla giovinezza; quel mondo brusco e genuino di montanari che popolano l’alta valle Garfagnana, laddove le gole sono strette e scendono impervie sotto i crinali delle Alpi Apuane, mentre buttano lo sguardo verso i monti dell’Appennino, inverdite da boschi di castagni che hanno, da sempre, fornito sostentamento, inondante dal rumore scrosciante di torrenti dove le trote guizzano.
Una valle che, ancora oggi, è in grado di custodire luoghi nascosti, odorosi di muschio e avvolti da un silenzio pacificatore. Ma non fu sempre così. No, perché durante la Seconda guerra mondiale in quella valle e nella vicina Lunigiana si moriva sotto le armi naziste e fasciste, soprattutto durante il terribile inverno del ’44. E nella memoria collettiva i racconti, soprattutto dei più attempati, alla fine sempre lì vanno a parare, perché certe ferite difficilmente si rimarginano. Piuttosto, danno al narrato un che di mitologico, un racconto da epopea popolato da figure epiche. Ma ci sono anche leggende e riti molto più antichi, ancestrali (a questo proposito, vi segnalo il bel romanzo di Aldo Simeone “Per chi è la notte”, Fazi), radicati negli abitanti, bagaglio imprescindibile di chi, da questo “distretto”, mai vorrebbe andarsene, o quantomeno non per lunghi periodi. Perché è vero, lo dico per esperienza personale, che ci si porta dietro quella schiva semplicità, quell’amore per la natura che ti porta a dare un nome agli alberi, agli animali, nella certezza che tutti siamo un pezzo di un disegno più grande e che, anche quando dei nostri animali ci si deve nutrire, lo si fa con rispetto e con un senso di gratitudine.
Un “Distretto” dove la gente è sostenuta da un suo antico sapere, dove si dà peso alla cultura, allo studiare, ma non (solo) in funzione di un collocamento lavorativo, quanto nella possibilità di arricchirsi interiormente.
Qui, in questa valle stretta e lunga, verticale di rocce a strapiombo, le donne sono rispettate, sono coloro che eternano il mistero della vita, che conservano gelosamente i loro rituali e ne tengono alla larga gli uomini, perché sanno che non avrebbero la forza di portarsi sulle spalle la capacità di garantire la continuità del genere umano. Donne forti, buone per ogni momento, capaci di andare avanti a testa alta e di usare le parole come spade.
Il romanzo inizia nella notte in cui Barack Obama diventa presidente dell’America; sollecitati da una pudica attrazione legata alla lettura, il protagonista del romanzo e la sua compagna fanno l’amore e lei resta incinta. Il racconto si dipana lungo i nove mesi dell’attesa, raccontati dalla voce narrante del padre, del suo sentirsi inadeguato a essere padre, forse più a suo agio nel ruolo di madre, cioè di colei che mantiene viva la memoria, le tradizioni, i ricordi delle persone e di ciò che hanno fatto.
Tra i tanti personaggi che popolano le pagine di “Meccanica celeste” spiccano le donne: la ‘Nita, la compagna del narratore, la Duse – mamma del narratore – una maestra elementare di pastori, che suona nelle osterie e custodisce il suo amore ormai perduto, quello per un soldato arrivato dal Brasile, che è il padre del narratore stesso; la Santarellina, una bambina orfana che a otto anni fu comprata da una famiglia di contadini, la Marta, pastora staffetta partigiana. Intorno a loro un universo di nomi e personaggi al maschile: su tutti l’Omo Nudo, tornato senza nulla dai campi di concentramento che diventa un macellatore illegale di maiali, maiali a ciascuno dei quali dà un nome; l’Otello, suo padre, iscrittore in Argentina di lapidi, e altri ancora.
Perché la Duse ha aspettato che finissero le cannonate, ha preso a tracolla la sua fisarmonica, e se n’è andata a sedere sulla spalletta del Ponte di Campia ad aspettare il suo destino, a suonare per lui, per l’orfano che sarebbe venuto? (pag. 159)
Questo di Maggiani è per me un bellissimo romanzo, a tratti visionario e ricercato, spesso poetico, ma anche sanguigno e ironico. Un po’ fuori dagli schemi, che se ne infischia di dilungarsi su un racconto se lo ritiene necessario, che usa un periodare ricercato, che a molti non piace. Spesso gli viene ascritto di non avere una trama: ma a Maggiani non interessa dipanare una trama, gli interessano di più le persone, il focus è sulle loro storie, sul vissuto:
Il fatto è che a Maggiani le trame interessano poco. Ciò che davvero gli sta a cuore sono le vite, e siccome ogni vita ne sfiora molte altre, per tenere dietro a tutte non serve un meccanismo narrativo in cui tutto fili liscio, ma una narrazione rapsodica, policentrica, digressiva, disposta a lasciarsi attraversare dall’infinita varietà delle esperienze e al tempo stesso capace di imbastire con tutti quei fili provvisori la rete della memoria collettiva di una comunità. In una parola: epica. Beatrice Manetti, su L’indice
❤
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mi ritrovo molto nella valutazione che dai della sua scrittura.
Maggiani, non è facile seguirlo nel suo narrare che a tratti sembra perdersi, deviare, dimenticarsi di quello che ti stava dicendo. Ma quando ci riesci ti regala una prosa ricca e pittoresca, ti ricompensa con personaggi e storie fantasmagoriche e vere che ti incantano e ti incatenano al libro.
E Meccanica celeste è davvero un bel libro, concordo.
ml
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Non è uno stile facile, non a tutti piace. A me incanta, mi fa perdere nei suoi meandri felice e rapita. Di questo romanzo, in particolare, mi ha colpito come ha reso il carattere dei garfagnini.
Bello davvero.
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Libro meraviglioso!
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Davvero! Va letto con calma, gustato pagina dopo pagina. Ci ho ritrovato molti volti che hanno popolato la mia infanzia, soprattutto femminili.
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È un libro che non ho riletto, non ancora, dopo tanto tempo, perché mi ha dato un’emozione tuttora intensamente presente.
Attendo il momento giusto
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Di Maggiani ho letto due libri: uno, Il romanzo della nazione, che mi è piaciuto molto; uno, La regina disadorna, che non mi è piaciuto per niente…
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Sulla regina, sono abbastanza d’accordo, non mi ha colpito come altri. Il romanzo della nazione devo ancora leggerlo, ma presto rimedierò!
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Grazie, provvedo subito! Maggiani mi piace, e con Mi sono perso a Genova mi ha fatto letteralmente innamorare
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Oh sì!!! Bello!!!
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io sono genovese
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eh lo so, lo so!
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