L’acquazzone non può spaventare le persone. Alla fine della giornata, è opportuno, vista l’invocazione della Vergine. In effetti, la pioggia sulla processione non fa che riaffermare la benedizione celeste sulla città. Inoltre, la maggior parte di queste persone è in strada da ore. Molti hanno aspettato anche dalla sera prima e ora, dopo tanta attesa, non sono disposti a partire. (..) Erano accompagnati dalla falsa placidità del mare, già buio e calmo come un animale sull’orlo del sonno. Nonostante il presagio, la gente ha continuato a venire, fingendo di occupare le prime file. Questa mattina tutti si fingono i più devoti, i più grati accogliendo la Vergine della Pioggia, che torna nel suo santuario in montagna dopo aver vissuto per quasi tre anni in un’ambasciata straniera, protetta dalla furia. Ora torna – più vergine e pura e santa che mai – trasportata su un camion militare tra nuvole di stufati e cartone fino al confine della provincia, e da lì a piedi, per strade e autostrade, per paesi e città. Folle emozionate e piangenti accolgono la processione, e si inginocchiano al passo solenne di quella gloriosa madre, la stessa che ha diretto dal cielo il cammino dei soldati che combattevano in suo nome e la traiettoria dei loro proiettili e bombe, proprio come il la dea Atena guidò i commando degli Achei nella lontana guerra di Troia.

Un lungo silenzio, di Ángeles Caso, Marcos y Marcos editore 2011, traduzione di Francesca Conte e Claudia Tarolo, pagg. 212

Alla fine del 1939, alcune donne della famiglia Vega tornarono in treno a Castrollano, una città marinara nel nord della Spagna conquistata dai franchisti, che fu la loro piccola patria fino a quando se ne andarono, in esilio in Francia. L’arrivo coincide con il ritorno della Virgen de la Lluvia, patrona locale, la cui immagine è restituita al santuario in un grande spettacolo di fervore popolare. Ángeles Caso esalta il contrasto tra quelle donne sconfitte, di cui un maleducato falangista dice: “Pessime … finirete come puttane”, e la figura verginale di María, portata dai vincitori. Con la sacra scultura restaurata, si è conclusa la pericolosa Via Crucis che l’ha liberata dall’orda rossa. Per le Vega invece, continuerà il calvario in quel periodo che il poeta Goytisolo chiamava “il lungo tunnel del dopoguerra”

Come se fosse un presagio fatale, un forte acquazzone accoglie questo gruppo di donne, stanche, deboli, sconfitte, nei cui sguardi batte però tutta la volontà e il desiderio di andare avanti dei sopravvissuti. Tornare a casa dopo che al potere è salito Francisco Franco, loro che appartengono alla fazione opposta, quella dei repubblicani, vuol dire condannarsi a essere guardati con sospetto, o evitati.

Ángeles Caso rende in modo concreto e palpabile l’atmosfera descrivendo il paesaggio dopo la battaglia, la cittadina piccola e di provincia le cui ferite sono ancora aperte: case crollate, strade rotte e buie, un cupo lascito di macerie dove tutto deve rinascere. Le donne sono profondamente umane: la nonna, Letrita, vedova di un impiegato statale socialista, che con il suo coraggio guida il duro acclimatamento delle tre figlie a una comunità che le ignora o le detesta. Lontane dai loro uomini, caduti o in prigione, le Vega scoprono al loro ritorno che i loro mobili e la loro casa sono stati espropriati e solo il coraggio di un’amica, Carmina, fornirà rifugio. Ángeles Caso si schiera con gli sconfitti, descrivendo in modo crudo le condizioni di miseria fisica e morale seguite alla sconfitta; ma sa anche trasmettere la paura e il silenzio che hanno fluttuato in tutto il Paese durante il franchismo. In questo senso, le umiliazioni dei vincitori sono dannose quanto la paura o l’acquiescenza dei meschini di cuore, incapaci del minimo gesto di solidarietà.

La caratterizzazione dei personaggi è ottima, soprattutto quello della matriarca. Sono donne che hanno perso tutto e continuano a perdere giorno dopo giorno e continuano ancora a combattere ognuna a modo suo ed è proprio nella forma della lotta che ognuna porta avanti, che Ángeles Caso ci mostra le mille sfumature della forza di queste donne e traccia i suoi personaggi con meticolosità. Nella nipote, cioè nella generazione più lontana e più proiettata verso il futuro, si intravede la possibilità di lasciarsi alle spalle l’eredità di tanta sofferenza e di voltare pagina.

L’autrice dedica un capitolo a ciascuna di queste donne per raccontarci come hanno vissuto lo scoppio della guerra e come stanno vivendo il duro periodo del dopoguerra. Per questo, Ángeles Caso racconta al passato, usando di volta in volta il futuro per evidenziare eventi che non sono ancora accaduti ma che si sa accadranno e che saranno importanti nella vita di queste donne. La scrittura è di ottimo livello, la sua prosa è più che corretta, il suo vocabolario è semplice ma allo stesso tempo molto ricco.

Al di là dell’ambientazione legata al particolare – la guerra civile spagnola -, il romanzo pone l’accento sull’universalità di un grande tema: il desiderio delle donne di seppellire i propri morti e tornare in vita.

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Ángeles Caso è nata a Gijón nel 1959, figlia di un filologo che incantava i figli con ballate spagnole del Cinquecento per metterli a letto. Ángeles fa risalire la sua decisione precocissima di diventare scrittrice al desiderio di dare un finale alla ballata incompiuta del Conte Arnaldo. La scrittura tuttavia richiede un lungo apprendistato, e Ángeles lo affronta studiando arte e storia moderna.
Il suo fascino e il suo talento affabulatorio attirano le mire della televisione, che per un po’ l’avvolge nelle sue maglie: per due anni Ángeles è il volto del telegiornale spagnolo. Ma lei lì non si sente a casa, ed è con sollievo che decide di tornare a dedicarsi alla letteratura a tempo pieno. Alterna il romanzo storico alla narrativa pura, e al centro della sua attenzione c’è sempre il coraggio delle donne.
Controvento, che racconta la vera storia della sua baby-sitter di Capo Verde, le è valso il Premio Planeta. Un lungo silenzio racconta invece la storia di sua madre, e ha conquistato il Premio Lara.