Sogno che mia madre muore. In eredità mi lascia una scatola con il battito del suo cuore. (Pag. 101)

Perché il bambino cuoce nella polenta, di Aglaja Veteranyi, Keller editore 2019, traduzione di Emanuela Cavallaro, pagg. 199

Se desiderate leggere un libro diverso da tutto quello che avete già letto, questo potrebbe fare al caso vostro. Se siete affascinati dal mondo errabondo degli artisti che si esibiscono nei circhi, se avete sentito parlare della dittatura in Romania ma non ne conoscete la reale abiezione, se amate la poesia dei diari scritti dalla voce innocente di una bambina, ecco, in queste pagine troverete tutto ciò.

Il libro è un testo che si colloca a metà tra favola e realtà, in quella terra di mezzo in cui spesso vaga la coscienza dei bambini, ed ha per narratrice una bambina figlia di artisti circensi, che vive e racconta il peregrinare tra tanti luoghi diversi della sua famiglia; affascinata dalle diverse realtà con cui viene in contatto, sogna che la sua famiglia un giorno sarà ricca, e che lei diventerà famosa. Con una forte carica emotiva, racconta le sue aspirazioni, ciò che vorrebbe si realizzasse per portarla il più lontano possibile dal suo paese, dove il dittatore e la sua famiglia possiedono tutto mentre la gente muore di fame. Un paese in cui la gente passa la vita in fila davanti ai negozi nella speranza di ottenere un tozzo di pane. Un paese in cui la censura toglie la parola e la povertà toglie la dignità.

La madre della bambina esegue un numero al limite della resistenza fisica: appesa per i lunghi capelli svolge acrobazie mentre la piccola ogni volta trattiene il fiato. L’abilità della madre è una qualità da tenere nascosta per evitare che altri copino il numero e le sue figlie hanno il compito di aiutarla a curare i capelli affinché rimangano forti.

Non devo fare arrabbiare mia madre, altrimenti lei può cadere. Non voglio essere viva se lei è morta. Potrebbe succedere ogni giorno. La mattina dormo a lungo, per accorciare la paura prima della sua esibizione, perché se mi sveglio presto c’è ancora molto tempo prima che lo spettacolo inizi. Per tutto il tempo in cui lei sta appesa lassù, non è mia madre, e io mi riempio le orecchie e la bocca di pane. Se cade, non voglio sentirlo. (Pag. 77)

E poi ci sono le leggende legate alla storia della famiglia, dove il nonno era a volte un impresario di circo, altre un macchinista; poteva essere greco, romeno, turco, ebreo… un contadino, un nobile, uno zingaro… niente sembra avere la consistenza della realtà. Tranne il paese che si è dovuto lasciare, che a volte è un ricordo nostalgico che profuma degli odori di cucina, altre è un luogo di dolore, dove i bambini non hanno niente da mangiare.

Ogni paese è all’estero. Il circo è sempre all’estero. Ma nella roulotte c’è casa. Apro la porta della roulotte il meno possibile, perché casa mia non evapori. Le melanzane arrostite di mia madre profumano ovunque come a casa, non importa in che paese siamo. (..) Conosco il mio paese solo dall’odore. Profuma come la cucina di mia madre. (Pag. 15)

Difficile dire fino a che punto ciò che leggiamo sia autobiografico, ma il vissuto della scrittrice aleggia tra le pagine: Aglaja nasce e cresce nel mondo del circo, in Romania, da dove la famiglia scappa, e gira per l’Europa. Sua madre è acrobata, suo padre giocoliere, clown, domatore. Aglaja ha una zia, che legge i fondi di caffè e colleziona i peluche che le hanno regalato i suoi molti amanti. Aglaja ha anche una sorellastra, che le racconta la favola del bambino che cuoce nella polenta, perché così spera di distrarla dalla paura che la madre precipiti mentre cammina nell’aria appesa per i capelli.

Aglaja vuole diventare una grande attrice, perché il padre, appassionato di cinema, gira film amatoriali spendendo tutti i loro soldi e obbligando le donne della famiglia a fare da attrici. Aglaja arriva all’adolescenza senza essere andata a scuola, e i genitori decidono di lasciare lei e la sorella in un collegio in Svizzera, per dar loro una cultura capace di riscatto. Aglaja fugge dal collegio e si rifugia a casa della zia, per poi tornare, finalmente, insieme alla madre.

Quando Aglaja diventa una donna possiede un fascino particolare; tornata in Svizzera, riprende a studiare da autodidatta. Frequenta una scuola di recitazione, ma nessuno capisce il suo genio, e viene espulsa. Con il suo compagno fonda un gruppo teatrale. Aglaja ha uno strano rapporto con i libri e la cultura, secondo la madre non servono, ma lei strappa le pagine dell’enciclopedia e la mastica, così le parole le restano dentro. Aglaja si toglie la vita in riva al lago di Zurigo a soli quarant’anni.